Bolo e Bezoario è, dopo Conserve (Polimnia Digital Editions, Sacile 2020), il secondo di quattro studi che si occupano di corpi. Indaga alcune delle multiformi manifestazioni della capacità umana detta memoria (l'oralità, la scrittura, l'immagine, la statuaria, il sintomo) che, come la polvere, si accumula e si dissolve. Parte dalle suggestive camere delle meraviglie del Cinquecento, dove i reliquiari medioevali iniziarono a trasformarsi nei musei moderni. Si sofferma sulle opere di Giulio Camillo, Giordano Bruno, Pietro Ramo, sull'ambizione di un sapere universale e l'ipotesi di una lingua artificiale comune a tutti gli umani, e prova a chiedersi cosa rimane nel contemporaneo di questo anelito. Il filo comune di questo articolato movimento è la memoria, la polvere dei ricordi, intesa come capacità umana radicata nei corpi, sin dall'antichità allenata, forzata, estesa fino ai suoi limiti, e poi spostata negli oggetti, nelle tacche, nei segni, nella scrittura, nel silicio.
Se ormai affidiamo a supporti esterni, sempre più capienti ed efficienti, le informazioni per non "tenerle a mente", resta della memoria quella componente incarnata che è corpo stesso ed effetto di corpo, come un bezoario che si conglomera lentamente ma inesorabilmente nel centro del nostro ventre o come un bolo "isterico", che blocca l'esofago e strozza il respiro.